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La vita

Laudomia Bonanni nacque a L’Aquila  l’otto dicembre del 1907 da una maestra elementare, Amelia Perilli e da Giovanni, fine musicista, discendente da una casata baronale ormai impoverita che per mantenere la famiglia divenne commerciante di carbone. La madre volle darle il nome di Laudomia, la protagonista di Niccolò de’ Lapi, un libro  di Massimo D’Azeglio che a mamma Amelia piaceva moltissimo. Laudomia ebbe due fratelli, Antonio e Vittorio Emanuele ed una sorella, Maria Luisa che sposò un ottimo professore di lettere, Corrado Colacito cui dette un figlio, Gianfranco, attuale unico erede della famiglia.

La madre, donna forte ed autoritaria, fu la prima a credere fortemente nella vocazione letteraria di Laudomia sostenendola e incoraggiandola in tutte le occasioni. Nel giugno del 1924, la Bonanni si diplomò all’Istituto magistrale di L’Aquila ed iniziò prestissimo una lunga carriera scolastica che la portò a contatto con il mondo infantile e rurale, costante riferimento della sua attività di scrittrice. Svolse il suo apprendistato in diversi paesini dell’Abruzzo montano conoscendo direttamente le sofferenze di una popolazione povera e socialmente arretrata.

Foto di famiglia: 1917, i genitori Giovanni e Amelia , Laudomia, Maria Luisa e Antonio (manca Vittorio Emanuele nato nel 1922) (Foto: Archivio Bonanni)

Nel 1930 iniziò ad esercitare nel Comune dell’Aquila, prima nella frazione di Preturo e poi nella scuola elementare  “De Amicis” di L’Aquila dove rimase fino all’ anno del pensionamento nel 1966.

Intanto l’ esordio come scrittrice per l’infanzia l’aveva  posta ad una prima attenzione presso la critica, ma la vera svolta nella sua vita si ebbe nell’ ottobre del 1938,  quando  l’organizzazione delle donne fasciste, in cui attivamente militava, a seguito di indicazione del Ministero di Grazia e Giustizia, le dette l’incarico di rappresentarla presso il Tribunale per i minorenni di L’Aquila e ciò costituì l’inizio di nuovi percorsi di scrittura.

Nel 1941 divenne componente del Centro di Tutela Minorile e nel 1952 entrò a far parte dello stesso Comitato  esecutivo. Fu giudice laico nel periodo 1946-1964. Il lavoro nel mondo dei riformatori rafforzò la sua attenzione letteraria verso i minori su cui ha lasciato una copiosa narrativa espressa in romanzi e nella scrittura breve.

Nel 1948 arrivò il successo: gli «Amici della domenica» del salotto Bellonci attribuirono alla Bonanni il premio per l’opera inedita  Il fosso. I maggiori critici si occuparono della scrittrice aquilana, giunse il premio «Bagutta», mai dato ad una donna, ed Eugenio Montale la paragonò a Joyce di Gente di Dublino. Con la pubblicazione de Il fosso, la Bonanni entrò nel mondo della letteratura ufficiale nel quale non s’integrò mai completamente anche per il suo carattere aspro e solitario. Da allora fu un susseguirsi di successi letterari e di continua collaborazione con i maggiori quotidiani e riviste nazionali. Nel 1969 si trasferì definitivamente a Roma per essere più vicina a quella realtà letteraria di cui ormai faceva parte. l primi anni della sua nuova vita romana furono abbastanza  felici; frequentava, anche se non assiduamente, gli scrittori ed i critici letterari del salotto Bellonci, riceveva  giornalisti e laureandi per tesi di laurea, manteneva continui contatti con gli amici del suo Abruzzo e scriveva moltissimo. Ma con il passare degli anni, le crisi di depressione ansiosa, il mutamento dei gusti dei lettori, la morte dei più cari amici, la Bellonci soprattutto, la portarono ad un sempre maggiore isolamento, fino ad interrompere ogni collaborazione con la carta stampata. Dopo il rifiuto del suo editore Bompiani di pubblicare La rappresaglia, con la richiesta di revisione del manoscritto, la Bonanni decise di terminare la sua esperienza di scrittrice  e con molta dignità interruppe ogni rapporto. Continuò ad avere discontinui contatti con critici e studenti universitari, fino alla morte che sopraggiunse il 2l febbraio 2002 per i postumi di una frattura femorale a seguito di una caduta in casa.